La farmacogenetica nella terapia oncologica

La medicina personalizzata, che negli ultimi anni si sta affermando sempre di più, ha come punto centrale la differente risposta, sia in termini di efficacia che di insorgenza di eventi avversi, dei pazienti sottoposti ad uno stesso trattamento farmacologico.

Tra i fattori che influenzano la risposta terapeutica, oltre a quelli legati allo stile di vita, fisiologici ed ambientali, un ruolo chiave è determinato dal corredo genetico.

Proprio in quest’ambito si inserisce la farmacogenetica, ovvero lo studio della variabilità genetica nella risposta ai farmaci. Le variazioni genomiche più comuni sono i polimorfismi a singolo nucleotide (SNP).

 

Cosa sono gli SNPs e come possono predire la risposta ai farmaci

 

Gli SNPs sono delle mutazioni presenti nel genoma umano, circa ogni 300-1000 nucleotidi, che rappresentano una delle maggiori fonti di variabilità genotipica e fenotipica interindividuale [1]. Queste variazioni sono più comuni ricadono nelle regioni 5’-UTR e negli esoni, determinando la sintesi di proteine coinvolte nel meccanismo d’azione, nel metabolismo o trasporto dei farmaci con un’alterata funzionalità e di conseguenza ad una sensibilità diversa del paziente all’effetto terapeutico o agli eventi avversi indotti da quel farmaco [2]. A sostegno di ciò, la Food and Drug Administration (FDA) e l’ European Medicine Agency (EMA) hanno creato una lista contenente 120 principi attivi per i quali dovrebbero essere effettuati test genomici di screening, prima di iniziare il trattamento [3] [4].

Le analisi genomiche permettono dunque di identificare il giusto dosaggio del farmaco per quel paziente, massimizzando la risposta e di riducendo, se non a volte evitando, gli eventi avversi riconducibili proprio al corredo genetico.

Ovviamente, tutto diventa più rilevante quando si considerano farmaci ad indice terapeutico ristretto, come i chemioterapici.

 

L’applicazione della farmacogenetica in oncologia

 

Uno degli aspetti più innovativi della ricerca clinica in campo oncologico è proprio l’applicazione di test che permettono di identificare i fattori genetico-molecolari che, oltre alla diagnosi, permettono di personalizzare la terapia.

 

Due esempi di applicazione dei test genomici sono da ricondursi al trattamento con fluoropirimidine ed all’irinotecan, chemioterapici largamente utilizzati.

Ad oggi, le fluoropirimidine, rappresentano la terapia standard per il trattamento di molti tumori solidi, come quello del colon, retto, mammella e testa-collo. Il 5-fluorouracile viene principalmente metabolizzato (80%) a livello epatico dall’enzima diidropirimidina deidrogenasi (DPD), di cui se ne conoscono circa 30 polimorfismi. La mutazione maggiormente frequente è la IVS14+1G>A, che genera un’enizma con ridotta capacità di metabolizzazione del farmaco, esponendo i pazienti a maggiore tossicità ematologica (neutropenia, anemia) e gastronenterologica (nausea e vomito) anche di grado 3-4. Di fatto nei pazienti con genotipo eterozigote, la dose dovrebbe essere ridotta di circa il 50%, mentre il farmaco dovrebbe essere somministrato nei pazienti con genotipo omozigote.

Altro esempio è dato dall’irinotecan, altro chemioterapico ampiamente utilizzato, anche in associazione al 5-fluorouracile. Irinotecan è un profarmaco e viene trasformato, ad opera dell’enzima carbossilesterasi, nella forma attiva (SN-38), che presenta un’attività citotossica da 100 a 100 volte maggiore. Ruolo fondamentale nel metabolismo di SN-38 è dato dall’enzima uridina difosfato-glucuronosiltransferasi 1A1 (UGT1A1), che forma un metabolita inattivo escreto con la bile. Il gene è altmente polimorfico, come la variante allelica nella regione promoter UGTA1A1*28, presente in circa il 35% dell’etnia caucasica. Gli individui omozigoti per questa variante risultano maggiormente esposti alla tossicità ematologica in seguito a somministrazione di dosaggi raccomandati, come evidenziato da diversi studi [5] [6].

 

Il tamoxifene, modulatore selettivo del recettore delgi estrogeni ampiamente utilizzato nel trattaemento del carcinoma mammario estrogeno dipendente. Si sitima che circa il 30-50% dei pazienti trattati con tamoxifene non traggono beneficio dalla terapia [7]. Il tamoxifene viene convertito nel metabolita attivo, 4-idrossi-N-desmetiltamoxifene (endoxifene), principalmente dal CYP2D6, che quindi riveste un ruolo chiave nell’efficacia del farmaco. Conoscere la variabilità allelica del paziente diventa fondamentale per adattare il dosaggio, determinare un’adeguata risposta terapeutica, come dimostrato da diersi studi [8] [9].

Conclusioni

Come accennato, il corredo genetico rappresenta solo una parte della risposta ad un trattamento farmacologico, ma l’utilizzo dell’analisi genomica risulta molto ultile  nella personalizzazione della terapia, con l’obiettivo di adattare il giusto farmaco ed il corretto dosaggio al singolo paziente.

 

Riferimenti bibliografici

[1] D. Roden and A. George, “The genetic basis of variability in drug responsens.,” Nat.Rev. Drug Discov., pp. 37-44, 2002.
[2] C. Mizzi, E. Dalabria and J. e. a. Kumuthini, “A European Spectrum of Pharmacogenomic Biomarkers: Implication for Clinical Pharmacogenomics,” PLoS ONE, 2016.
[3] F. Ehmann, L. Caneva, K. Prasad, M. Paulmichl and e. al., “Pharmacogenomic information in drug labels: European Medicine Agency perspective,” Pharm. J., pp. 201-210, 2015.
[4] I. ZIneh and M. Pacanowsi, “Pharmacogenomics in the assessment of therapeutic risks versus benefits: Inside the United States Food and Drug Administration,” Pharmacother. J. Hum. Pharmacol. Drug. Ther., pp. 729-735, 2011.
[5] C. Lu, C. Huang, I. Wu and e. al., “UGT1A1 promoter polymorphism for irinotecan dose escalation in metastatic colorectal cancer patients treated with bevacizumab combined with FOLFIRI in the first -line settin.,” Transl. Oncol., pp. 474-479, 2015.
[6] A. Premawardhena, C. Fischer, Y. Liu and e. al., “The global distribution of length polymorphisms of the pormoter of the glucuronosyltransferase 1 gene (UGT1A1): Hematologi and evolutionary implications,” Blood Cells Mol. Dis., pp. 98-101, 2003.
[7] T. Wang, Y. Zhou, G. Cao and e. al., “Pharmacogenetics of tamoxifene teraphy in Asian populations: from genetic polymorphism to clinical outcomes,” Eur. J. Clin. Pharmacol., pp. 1095-1111, 2021.
[8] B. Bonanni, D. Macis, P. Maisonneuve, H. Johansson and e. al., “Polymorphism in the CYP 2D6 tamoxifen-metabolizing gene influences clinical effect but not hot flashes: Data form the Italia Tamoxifen Trial,” J. Clin. Oncol., pp. 3708-3709, 2006.
[9] H. Zembutsu, S. Nakamura, S. Akashi-Tanaka and e. al., “Significant effect of polymophisms in CYP 2D6 on response to tamoxifen teraphy for brest cancer: A prospective multicenter study,” Clin. Cancer. Res, pp. 2019-2026, 2017.
[10] I. Zineh and M. Pacanowski, “Pharmacogenomics in the assessment of therapeutic Risks versus benefits: Inside the United States Food and Drud Administration.,” Pharmacother. K.